Bologna by Renato Zangheri
autore:Renato Zangheri
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 88-420-2737-5
editore: Laterza
pubblicato: 1986-08-14T16:00:00+00:00
Tab. 5. Braccianti e salariati agricoli della provincia di Bologna.
Anni Maschi Femmine
1881 38.441 22.171
1901 43.912 11.569
1911 39.448 16.376
1921 38.949 19.795
Fonte: Censimenti.
Le autorità di pubblica sicurezza raccomanderanno di praticare una politica che favorisca l'emigrazione. Ma esse stesse dovranno notare — come recita con linguaggio forbito la fonte del 1905 cui si è già accennato — che «quei terazzani sono restii in genere a lasciare il proprio casolare». Insomma, appare corretto il giudizio espresso da Angelo Tasca sull'Emilia-Romagna a cavallo fra guerra e ascesa del fascismo: «La popolazione è abbondante e non vuole emigrare».
C'è chi se ne va pure da queste terre. I più, però, restano cercando di affrontare i loro problemi con l'organizzazione, il collocamento, l'imponibile di manodopera, le affittanze collettive, le cooperative. Come dirà nel 1946 Palmiro Togliatti: «Il lavoratore emiliano, di regola, non emigra. Rimane […], e impegna la lotta per il suo pane e la sua minestra».
Nel 1933 il Bureau international du travail (Bit) osservava, a proposito dei contratti collettivi in agricoltura, che nei campi l'organizzazione dei lavoratori, e quindi le lotte e la determinazione degli obiettivi, erano assai più difficoltose che nelle officine per «la dispersione delle aziende agricole e l'isolamento che ne consegue per i lavoratori». È una realtà cui non sfuggono i salariati agricoli del bolognese e dell'Emilia-Romagna (un'area dall'agricoltura assai frastagliata). Tuttavia è anche vero che il proletariato agricolo di varie parti di queste zone si forma e si tempra pure in lavori, di durata diversa, che presuppongono e determinano la concentrazione di masse notevoli di lavoratori: in particolare, la coltivazione del riso e le opere di bonifica. La possibilità oggettiva di organizzarsi e agire in modo collettivo ne risulta assai favorita.
Riso, bonifiche, e cioè … acqua. Oltre che in città, l'acqua ha un ruolo fondamentale nelle campagne, non solo per gli ovvî bisogni idrici delle colture o per la pratica dell'irrigazione.
Il territorio della pianura bolognese è storicamente caratterizzato da un assetto idraulico quanto mai instabile: gli impetuosi fiumi appenninici rendono sempre incombente il pericolo di rotte e allagamenti; per sito e struttura dei terreni è necessario provvedere a una continua opera di scolo dei campi, che dà luogo a complessi lavori di microidraulica poderale tramandatici nelle pagine degli agronomi; le valli coprono larga parte della «bassa» e c'è una fascia fra acque e pianura asciutta continuamente contesa fra coltura e incolto «affondato», come si legge nelle carte d'archivio. Insomma, secondo le parole di Lucio Gambi, «la storia dell'occupazione del bassopiano [emiliano-romagnolo, e bolognese] è una storia […] di lungo, paziente, ponderato lavoro per ostacolare con arginature lo stagionale incubo delle inondazioni, per togliere alla stagnazione delle acque fluviali esondate o di acqua meteorica non scolata le terre giudicate destinabili ai coltivi, per aumentare le superfici agricole».
Agli inizi del Seicento un proprietario bolognese consigliava il suo agente di campagna di accordarsi coi vicini per la manutenzione di scoli, fossi e canali, ché sarebbe inutile «cavar sul nostro, se l'istesso non fanno gl'altri, et sotto non è aperto, riman la spesa e la fattura inutile,
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